sabato 1 giugno 2024

Vedere le cose

Florence Di Benedetto

L'enigmatica essenza del quotidiano.

a cura di Tziana Tommei

Vedere le cose

La Galleria Susanna Orlando è lieta di presentare “Vedere le cose. L’enigmatica essenza del quotidiano” dell’artista Florence Di Benedetto, prima personale fotografica della galleria. In mostra il progetto inedito “Mondo Visibile”, che coniuga fotografia e intervento manuale. “Vedere le cose” e “Mondo visibile” sono estratti da citazioni di Giorgio Morandi, alle cui nature morte con bottiglie rendono omaggio le opere esposte.

Ad un primo sguardo le opere del “Mondo visibile” di Florence Di Benedetto possono generare un subitaneo ed epidermico straniamento: è il rumore dello sfondo, l’accostamento della realtà silente e ieratica degli oggetti ad un terreno di azione intrinsecamente Informale

Il progetto prende origine da un dialogo aperto con il passato, con i suoi exempla e le sue icone. Opere che raccontano il percorso intrapreso dall’artista e il suo nucleo valoriale: dalla trasversalità del bagaglio visivo e culturale, alla fede nell’eclettismo e nella sperimentazione; dal superamento di ogni rigida separazione tra tecniche e forme espressive, al coraggio di contaminare la fotografia pura, non alterata o modificata a posteriori, con la manualità di un fare ad azione diretta sull’opera - nel caso specifico attraverso l’effrazione (rayage) del supporto.

Al di là della linea scura che rincorre il profilo della rappresentazione fotografica del mondo visibile - della realtà fisica e concreta delle “cose” che si toccano, che hanno un peso, che si usano e si gettano, che decadono e  tendono verso il basso - si dispiega lo spazio del gesto e della materia, una superficie che l’artista scalfisce, lacera e scava per portare alla luce l’impossibilità di una linearità estetica e di narrazione.

Spostando lo sguardo sul soggetto, tra le pieghe plastiche della tovaglia di lino e i richiami ai valori della pittura, si impone la composizione scenica delle “cose”: semplici, quotidiane, banali bottiglie di plastica, sculture scelte, trasparenti e solide forme, che abitano la prospettiva e si fanno ora architettura, ora simbolo, ora realtà. 

Reperti archeologici che sottendono il riscatto del vile oggetto industriale e, al contempo, esortano a sintonizzarsi sul linguaggio delle “cose”, per esplorarle oltre la patina della fugacità, interrogarle, scavarle per carpirne l’inattesa bellezza e riuscire così ad amarle nella loro brutale autenticità.

Un invito a vedere le “cose”.

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